La grotta delle Fate, tra realtà e fantasia…

Durante il 2015 il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, in collaborazione con la Regione Toscana, nell’ambito di un’apposita convenzione denominata “Censimento e Delimitazione delle Aree Carsiche della Toscana” ha svolto un lavoro di revisione che ha portato all’individuazione e alla delimitazione di nuove aree carsiche precedentemente classificate come entità locali di minore importanza. Fra queste, nel territorio collinare della città di Pistoia, è stata identificata, e inserita nella nuova banca dati creta per lo svolgimento del progetto, l’area carsica denominata “Colle de Le Grazie”.

Inquadramento geografico

L’area si trova a nord della città di Pistoia, in una zona collinare dove si alternano oliveti e boschi di robinia e pungitopo mentre gli insediamenti sono limitati a poche case sparse e piccoli nuclei rurali. Proprio l’alternanza fra oliveto e bosco ci accompagna nell’individuazione di questo piccolo affioramento carbonatico, raggiungibile sia dal paese di Saturnana, da est, oppure dal Podere Calabiano (o Calabbiana), da ovest. Entrambe le località sono raggiungibili dalla strada che fiancheggia il fiume Ombrone e da Pistoia conduce a Piteccio. Poco più a nord troviamo la località “Le Grazie” che da il nome all’area carsica.

Fenomeno carsico

A dispetto del nome assegnato all’area carsica, che la identifica maggiormente rispetto al territorio in cui si trova, il luogo evocativo rispetto alla presenza di grotte e carsismo è sicuramente il Fosso di Lappata, protetto dall’omonimo bosco. Lungo i suoi fianchi infatti si concentrano quasi tutti i fenomeni carsici attualmente conosciuti ed il suo corso accompagna quasi per intero il piccolo affioramento di calcare Alberese (chiamato dai onte alla stessa formazione litologica, dalla consistenza di ciò che troviamo nei vicini Monti della Calvana, ma sono comunque presenti molti elementi caratterizzanti il carsismo ipogeo, mentre sono scarse, quasi assenti, le manifestazioni epigee.

Scheda documentativa sull’Area Carsica del Colle del Le Grazie (elaborazione grafica Siria Panichi)

La presenza di calcare è individuabile a prima vista per la presenza di numerose cave, alcune molto antiche, dove si ricavava la materia prima per alimentare le fornaci in cui la pietra calcarea veniva trasformata in calce. Le fornaci e le cave spesso sono collocate nello stesso luogo fisico e costellano l’intera zona collinare presente sopra la Villa Poggiolino, a cui queste attività facevano riferimento.

Nonostante si sia di fronte ad una piccola area carsica anche la componente idrogeologica è ben rappresentata. In condizioni normali infatti lungo il Fosso di Lappata il flusso idrico è assorbito in alveo a monte dell’area dove troviamo le cavità, perdendosi nell’attraversamento dei calcari.

Probabilmente l’acqua in parte riemerge da una piccola sorgente carsica che va ad alimentare il Fosso di Corneto, affluente in destra idrografica del Fosso di Lappata, poco più a valle del punto in cui riceve questo apporto. La presenza di opere di captazione, non recenti, di una cisterna di accumulo delle acque, che ha la forma di una grossa vasca, e di un lavatoio, fa supporre che lo scorrimento idrico sia perenne. Oltre a questo punto di emergenza captato, è probabilmente presente anche un altro poco più a monte che funziona da troppo pieno. Basandosi sugli elementi che compongono il territorio, il bacino di assorbimento sembrerebbe limitato ma al momento non sono stati condotti studi volti a determinare la portata. Le caratteristiche della sorgente sono tali comunque per ipotizzare che essa sia alimentata da un circuito sotterraneo alimentato dall’acquifero carbonatico carsificato.

Le opere di captazione della sorgente carsica, foto di S. Panichi.

Le opere di captazione della sorgente carsica, foto di S. Panichi.

L’ingresso della Buca di Nadia, foto di S. Panichi.

Le grotte

Il carsismo ipogeo è rappresentato da 5 cavità, inserite nel catasto speleologico regionale attorno alla metà degli anni ’80 del XX secolo da parte di studiosi di fauna ipogea appartenenti al Gruppo Speleologico Fiorentino, ed altre di dimensioni inferiori. I nomi con cui queste cavità sono state catastate sono probabilmente dediche a persone a loro care (Buca di Nadia T/ PT 732, Buca di Anna T/PT 829, Buca di Anna Elisa T/PT 776) ed in due casi toponimi locali (Tecchia di Calabbiana T/PT 775, Buca delle Fate di Calabbiana T/PT 830).

Le due cavità di maggiori dimensioni (Buca di Nadia e Buca di Anna) sono costituite da condotti di piccole dimensioni e non sempre comodamente percorribili, che si approfondiscono con brevi salti, fino a raggiungere zone ostruite dall’accumulo di sedimenti provenienti dall’esterno, forse provenienti da qualche inghiottitoio superiore ostruito o molto vecchi e legati ad una quota maggiore dell’alveo. Non mancano fenomeni di concrezionamento e segni di erosione tipici del carsismo ipogeo.

L’ingresso della Buca di Anna, foto di F. Lunghi.
Uno degli ingressi della Buca della Fate di Calabbiana, foto di F. Lunghi.

Le altre tre sono: un breve cunicolo di piccole dimensioni (Buca di Anna Elisa), una cavità con più ingressi collegati da cunicoli interni, in parte alterata artificialmente, probabilmente durante la seconda guerra mondiale, quando fu utilizzata come rifugio d’emergenza durante i bombardamenti per far saltare i ponti di Piteccio (Buca delle Fate di Calabbiana) e una tecchia sottoroccia con ampio ingresso di cui è molto dubbia l’origine naturale (Tecchia di Calabbiana).

In quest’ultima cavità, nei primi anni del XX secolo, è stato costruito un muretto a secco che alcuni collegano ad un ipotetico utilizzo della cavità per la celebrazione di messe nere.

Un cunicolo nella Buca della Fate di Calabbiana, foto di F. Lunghi.

La fauna troglobia, che spinse qua gli studiosi di Firenze, interessati soprattutto a nuove specie o sottospecie di Duvalius, è ancora ben rappresentata e numerosa nel caso di chirotteri, geotritoni, dolicopode e tipule.

Gli abitanti di Saturnana, la più vicina località abitata con continuità fin dall’antichità, conoscono e indicano genericamente le cavità come “alle grotte” o “alle buche”, ma per due luoghi che non rientrano fra le grotte che conosciamo hanno idee più precise su come debbano essere indicati.

Uno è quello che viene chiamato “La Grotta Bianca” grazie alle sue concrezioni bianchissime; la particolarità è che non si tratta di una grotta vera e propria ma di una nicchia nella parete del Fosso di Lappata, poco a valle rispetto alle cavità conosciute dagli speleologi. In Toscana il termine grotta spesso indica un tetto sporgente da una parete, quindi il toponimo è appropriato, mentre per le grotte vere e proprie viene più spesso usato il termine Buca.

L’altro è sempre stato chiamato Grotta delle Fate ma non si tratta della Buca delle Fate di Calabbiana e molto probabilmente non rientra nemmeno fra le cavità elencate sopra, inserite nel catasto speleologico regionale. Andiamo per ordine.

La Grotta Bianca, foto di F. Lunghi.

Il tratto del sentiero di Saturno che passa di fronte alla Tecchia di Calabbiana, foto di S. Panichi.

Un poema epico di un secolo fa

Ferdinando Bardini, detto Nandino (1834- 1916), carbonaio, taglialegna, operaio nella vicina ferriera ma nell’animo poeta carbonaro, nel 1910 realizza il sogno di pubblicare un poemetto epico, “La Storia delle sette ragazze ossia La grotta delle Fate”, ambientato nel bosco di sua proprietà lungo il Fosso di Lappata, proprio quello in cui si trova la nostra area carsica. La grotta che compare nel titolo, e in cui è ambien

sette diverse famiglie anni prima, si danno per il giorno della merenda di Pasqua, il 17 Aprile 1857, da consumarsi in un luogo poco frequentato (lo descrivono come solitario e cupo): il bosco di Lappata. Appena arrivate nel bosco vengono sorprese da un temporale, e quindi, impaurite, invocano l’aiuto del Signore che per tutta risposta invia in loro soccorso una vecchietta che le invita a seguirla, per trovare riparo nella grotta dove vive. Le ragazze accettano l’invito e appena entrate in grotta il temporale diventatata la vicenda, oltre a Grotta delle Fate viene chiamata anche Grotta della Conoscenza per le informazioni storiche che trasmette a chi avrà la temerarietà di visitarla.

… APPENA ARRIVATE NEL BOSCO VENGONO SORPRESE DA UN TEMPORALE, E QUINDI, IMPAURITE, INVOCANO L’AIUTO DEL SIGNORE CHE PER TUTTA RISPOSTA INVIA IN LORO SOCCORSO UNA VECCHIETTA CHE LE INVITA A SEGUIRLA, PER TROVARE RIPARO NELLA GROTTA DOVE VIVE …

Il racconto inizia con un appuntamento che sette ragazze di Saturnana, accolte e adottate da ancora più minaccioso, con grandine e vento, per placarsi poco dopo, come predetto dalla vecchietta. Allora le ragazze, pensando che la vecchietta sia una maga, le chiedono di vegliare sul loro futuro. La vecchietta, il cui nome è in effetti maga Crolice, risponde che lo farà a patto che loro visitino la sua dimora, questa grotta verso cui le ragazze mostrano resistenza (ai loro occhi sembra una prigione) ma, fidandosi ormai di lei, la seguono. La grotta si mostra articolata, con passaggi in cui è necessario salire, scendere e passare un “piccol pertugio” … “tra sasso e sasso” di fronte al quale le ragazze riappaiono titubanti, ma la maga Crolice le rincuora dicendo che al di la grotta è larga. Passa avanti lei:

58. Cio detto rannicchiossi nell’istante,

Colle natiche poste sul tallone. Piega il capo a sinistra e mand’avante La manca man che a guida la dispone. Passa qual biscia, tra le rocce infrante,

E nella destra il suo doppier ripone,

Poi che passata al buco si rivolta Chiamando le donzelle una per volta.

La grotta si spalanca; arrivano ad un lago, con acque placide e delimitato da roccia calcarea. Una ragazza le chiede se qualcuno vide mai quel luogo e la maga risponde che sono le prime dal momento che la cascata, il lago che si forma ai suoi piedi e il canale che prosegue in basso scorrono tutti sottoterra. Un’altra ragazza le chiede dove si trovano rispetto all’esterno e la maga traccia un percorso che passa sotto al bosco per poi arrivare alla località “Il Santo” ed infine sotto a Fontana, dove una parte delle acque fuoriescono per alimentare il lavatoio e “tonte”.

In alto: copertina della Ristampa Anastatica del poemetto di Ferdinando Bardini.

Proseguono per ampie sale dove incontrano anime dannate e ricche sculture antiche fino ad arrivare alla stanza della maga che lì inizia a raccontare la storia della sua vita confessando di essere la loro vera madre, costretta da molto tempo a vivere in questa grotta. Dopo aver regalato a ciascuna di loro una boccetta di “acqua dell’obblivione”, che serve per rimanere contente, le conduce a vedere la storia narrata dalle sculture e dalle incisioni scolpite nelle pareti di questa grotta. Si inizia dalla mitologia greca per poi passare alla mitologia romana che sconfina negli albori della storia romana repubblicana.

La narrazione prosegue con i fatti salienti dell’impero romano e della sua interazione con gli altri popoli (etruschi, cartaginesi, egiziani, galli). Da qui si passa ai fatti principali del Medioevo e del Rinascimento, soprattutto legati alla storia italiana, toscana e pistoiese, fino ad arrivare alla storia recente con Mazzini e Garibaldi.

Le sette ragazze protagoniste del poemet- to sono realmente vissute a Saturnana, dove è possibile rintracciare ancora oggi alcuni loro di- scendenti. Fatti reali si alternano alla descrizione fantastica, dando lo spunto per narrare la mitolo- gia classica e la storia dell’umanità inserendola in una cornice immaginaria.

La memoria relativa all’esistenza di questo poemetto è ancora viva a Saturnana grazie an- che all’interessamento di uno dei suoi abitanti: lo scultore e pittore Amelio Bucciantini, che nel 2009 ha curato la sua ristampa anastatica, con l’aggiunta in calce di diciotto sue illustrazioni originali che raffigurano la vicenda narrata.

Già nel 2007 Bucciantini aveva allestito un percorso ispirato al poemetto e alle origini di Sa- turnana, il “Sentiero di Saturno. Il Re guerriero signore della grande selva nell’età dell’oro”. Il percorso, oggi in avanzato stato di abbandono, attraversa luoghi legati alla storia locale, alla storia narrata nel poemetto e ispirati dalla fan- tasia, riconoscibili da vari cartelli in legno: la Cava del Santo, documentata a partire dal 1673, poi la Cava dei Ronchi, la Cava Fontana, la Piaz- za del Poeta Ferdinando Bardini detto Nandino, la Piazza delle Sette Civette, Piazza dei Maghi Cecco, Gosto, Clorinda, Zampi, per poi arrivare alla nostra Grotta delle Fate, e alle vicine Grotta dell’Istrice, Grotta della Maga Clorice e Grotta del Falco di Lappata.

Queste grotte sono le stesse (tranne la Grotta dell’Istrice) inserite nel catasto speleologico regionale ma i nomi assegnati dal Bucciantini sono stati ispirati oltre che dal poemetto, dalla storia locale e dalle caratteristiche naturali del luogo.

La Grotta delle Fate, illustrazione di Amelio Bucciantini

La zona in cui potrebbe trovarsi la vera Grotta delle Fate, foto di F. Lunghi

In particolare la Grotta delle Fate (o Grotta della Conoscenza) viene oggi identificata som- mariamente in quella che gli speleologi hannoribattezzato Tecchia di Calabbiana ma in realtà la memoria storica la localizza lungo il “fosso che viene giù da Pitornecca”, cioè il Fosso di Lappata, più a monte rispetto al luogo dove si trova la tecchia. La descrizione che viene data è di una grande cavità con l’aspetto di un “tunnel sotterraneo” che aveva termine sotto la chiesa di Saturnana. La prima esplorazione di cui si abbia una memoria storica dovrebbe averla compiuta il Sig. Birilli, operaio nelle cave presenti nella zona negli anni della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, che si inoltrò nella cavità con un lume ad acetilene ed il sagolino che gli permise di ritrovare l’uscita quando il flusso d’aria presente nella cavità gli spense la luce.

Il racconto di un crollo, uno dei tanti che troviamo lungo il Fosso di Lappata, che ne avrebbe ostruito l’ingresso, sembra corrispondere ad un luogo che troviamo poco a monte delle cavità conosciute, dove, alla base di una parete aggettante, la frana di un muretto a secco ostruisce un approfondimento intuibile fra il materiale instabile.

Rispetto all’aspetto idrogeologico la gente del luogo ha sempre pensato che l’acqua, assorbita in subalveo a monte del bosco di Lappata, potesse essere raggiunta di nuovo all’interno della Grotta di Anna, per poi riemergere, come abbiamo visto, sotto Corneto. Non sappiamo se questa credenza sia basata su ipotesi concrete o su un altro passo del poemetto del Bardini:

49. Amabile, col dolce accento usato,

Disse alla maga: Ci sapreste dire Quel perenne ruscel che abbiam passato,

In che parte va fuori a scaturire? Gli rispose: Quel fonte è consacrato

Alle ninfe che qua soglion venire, Qua dentro è detto il fonte dell’Amore,

Il qual sotto Corneto sorte fuore.

50.

Tempo verrà che un nobil signore Quell’onda pregierà come un tesoro E per condurla ad innaffiare il fiore,

Non curerà né spesa e né lavoro;

Ma per ora sortita ch’è di fuore

Non gode nessun pregio, né decoro Ma sterpi e spine che gli stanno addosso

Mentre discorre il limaccioso fosso.

Comunque l’osservazione quotidiana del territorio da parte dei locali fornisce molti particolari legati allo scorrimento idrico e su come esso sia cambiato nel corso degli anni: pare che nei tempi passati l’acqua, dopo forti piogge, quindi in regime di piena, uscisse dalla sorgente inizialmente con aspetto limpido ed in seguito diventasse torbida. Adesso pare che già dal primo arrivo dell’ondata di piena, l’acqua esca subito torbida, dopo mezza giornata dal momento in cui inizia a piovere.

Per fare un po’ di chiarezza fra le conoscenze spelologiche, quelle locali e ciò che viene narrato nel poemetto, nonché rispetto ai nomi inseriti nel “Sentiero di Saturno”, auspicando che un giorno qualcuno voglia recuperare questo intento di valorizzazione del territorio, è stata predisposta una tabella che chiarisce quante e quali grotte troviamo nell’area carsica del “Colle de Le Grazie”.

Il vecchio toponimo Calabbiana (in precedenza Callabiana), in passato attribuito anche al Fosso di Lappata, è stato sostituito nelle carte moderne da Podere Calabiano, mentre la cartografia in uso all’epoca dell’inserimento nel catasto speleologico riportava l’antica e probabilmente corretta dicitura, rintracciabile fin dal 1627.

Ringraziamenti

La Buca di Anna Elisa, foto di S. Panichi

Ringrazio due abitanti speciali di Saturnana: Amelio Bucciantini di Cerchiaio e Lamberto Albertazzi di Corneto, nonché Francesco Lunghi, Leonardo Piccini, Loriano Lucchesi e Luca Venturi per l’aiuto fornitomi.

BIBLIOGRAFIA

Bardini F. (1910) La Storia delle sette ragazze ossia La grotta della Fate. Pistoia Officina Tipografica Cooperativa, 106 p. (rist. anast. Pistoia, Il Papyrus miniedizioni, 2009) Cecchi A. (1984) Toponomastica del territorio di Saturnana dal 1449 al 1673. Bullettino Storico Pistoiese, Anno LXXXVI, 3 ser., n.19, p. 75 – 91. Magrini P., Vanni S. (1986) Note su alcuni Duvalius della Toscana, con descrizione di una specie e di due sottospecie nuove (Coleoptera Carabidae). TALP, Rivista della Federazione Speleologica Toscana, 1, p. 5 – 17.

Articolo tratto dal sito https://issuu.com/ della Federazione Speleologica Toscana