La “grande selva”

LA GRANDE SELVA

Sorpassato il fiume Ombrone in località Piestro, anticamente “La Pietra“, vediamo ergersi prepotente e maestosa la selvaggia montagna a forma conica. Un’agile e tortuosa strada fiancheggiata da antiche marginine tra olivi, castagni ed acacie, conduce alla cima. Sul dorsale sud-ovest della montagna, a metà costa e degradante verso le tumultuose cascate del fiume Piestro, troviamo Saturnana con l’antica Pieve di S. Giovanni Battista (risalente al XII Secolo),dove vi sono conservate numerose ed antiche opere d’arte. Racconti popolari e antichi manoscritti dicono che la Pieve è assai più antica, forse legata alle vicende del ribelle romano L.S. Catilina che, secondo alcune fonti, avrebbe bivaccato sul luogo celebrando i sacri Saturnali in onore del dio Saturno. Altri racconti parlano del re pastore Saturno, di misteriosi tunnel e grotte che si insinuano nelle viscere del monte, di castelli e di villaggi fantasma. Oltre questo paese, che reca tali memorie antiche, la strada si immerge nel verdeggiare più massiccio di castagni secolari, salendo in alcuni tratti vertiginosamente e raggiungendo la villa della Rupe. Poi balenante tra le fronde dei fitti castagni il paese di Le Grazie con la settecentesca chiesa di S. Maria delle Grazie (ex Oratorio di Tacigliana o Tocigliana) dominante la piazza, dalla quale si possono notare le varie borgate del paese: Campiglio, Pitornecca, Selvapiana, località che richiamano numerosi villeggianti nel periodo estivo. Più oltre la Cupa, importante passo che usarono i barbari Galli Boi e i liguri Apuani, bivaccando talvolta sui versanti del monte e facendo frequenti scorrerie verso i villaggi sparsi nella pianura pistoiese. Sentieri che servirono a Re, avventurieri e mercanti e che, in tempi più recenti, furono e tuttora usati, da carbonari e taglialegna. Questa in sintesi, la magica e ridente montagna che accoglie, per la prima volta, la 1° Rassegna di pittori pistoiesi in quella che, più anticamente, è stata conosciuta come la……….. Grande Selva.

Pistoia, 5/7/1980, di Amelio Bucciantini


LA STORIA

Posto sulla destra del torrente Ombrone, il paese di Saturnana (Pistoia, ndr) ha origini molto antiche. Il toponimo “Saturnana” è presubimilmente di derivazione etrusca e alcuni reperti archeologici rinvenuti occasionalmente a Caroggio, località nei pressi di questo paese, indicano insediamenti di primitive popolazioni ligure che abitarono la zona nel II secolo a.C.

La pieve di San Giovanni Battista a Saturnana è ricordata per la prima volta in una pergamena del 989 con l’indicazione del santo titolare: plebs S. Iohannis sita Satornana. Edificata sul lungo e tortuoso tracciato, aperto in epoca longobarda, che attraverso la valle della Lima raggiungeva Modena, questa pieve forse esisteva già nel secolo VIII e costituiva, come l’ospizio di Fanano e la pieve di Lizzano, costruiti lungo la stessa via, una stazione di sosta per i viandanti che percorrevano questa strada. Infatti le pievi altomedievali non erano soltanto luoghi di culto dove si svolgevano compiti e pratiche di carattere religioso, ma dovevano servire anche come rifugi occasionali, e punti di riferimento per i lavori di manutenzione del sistema viario svolti dalle popolazioni rurali per garantire le migliori condizioni possibili di percorribilità delle vie che attraversano il loro plebato.

Successivamente (secoli XVI-XVII) questo antico tracciato, o mulattiera, che, arrampicandosi sulle catene collinari sovrastanti Pistoia, toccava, oltre a Saturnana, le località delle Grazie, Le Panche, Campo Tizzoro, Bardatone, San Marcello e Mammiano, costituì un’importante via per il trasporto del ferro, mediante condotte di muli, da Pistoia fino alle ferriere di Mammiano, dove il minerale grezzo, con grande dispendiosi legname, veniva raffinato in lingotti e distribuito nell’intero granducato.

La pieve di Saturnana venne riconosciuta al vescovo di Pistoia con il diploma di Ottone III del febbraio 998, il primo documento che permette di definire in maniera attendibile l’assetto del territorio pistoiese sottoposto alla giurisdizione del vescovo. Nello stesso diploma, inoltre, tra i possessi ecclesiastici vi sono anche venti curtes, grosse aziende fondiarie di probabile natura feudale, fra le quali appare anche Saturnana, designata, come altre, con lo stesso toponimo della pieve. Nei secoli precedenti, dall’età paleocristiana a quella carolingia, tali possessi fondiari erano stati concessi al vescovo di Pistoia per edificare e provvedere di beni le pievi rurali e, sotto questo aspetto, l’esistenza della curtis accanto alla pieve costituirebbe per questa un segno di antichità.

Nel secolo X la pieve di Saturnana aveva sotto la sua giurisdizione un vasto territorio che comprendeva l’intera valle dell’Ombrone a monte di Pistoia e l’alta valle del Reno. In epoca successiva (secolo XI) il nome del santo titolare fu cambiato e in due documenti, del 1038 e 1040, la pieve assunse il titolo di Sancti Petri, nome che in seguito non verrà però più usato.

All’inizio del secolo XIII, dopo una lunga vertenza tra il vescovo e il Comune di Pistoia, Saturnana passò sotto la giurisdizione di quest’ultimo e divenne un comune rurale del districtus pistoiese. Il suo territorio corrispondeva a quello delle attuali parrocchie di Saturnana e delle Grazie e, seppure amministrato da un podestà che annualmente veniva nominato da Pistoia, gli uomini che qui vi che qui vivevano erano sottoposti al vescovo con un giuramento di fedeltà. In seguito Saturnana ebbe anche un proprio statuto che periodicamente veniva aggiornato e revisionato e dal Quattrocento in poi il podestà venne sostituito da un vicario che era eletto nella piazza antistante la pieve. Quest’ultima, citata nei documenti ecclesiastici dal secolo XIII con il titolo di San Giovanni, aveva quattro chiese indipendenti: San Felice, Batoni, Sammommè e Piteccio, che successivamente conseguirono la dignità di pievi autonome.

La forma attuale della chiesa di San Giovanni Battista a Saturnana risale ai secoli XVIII-XIX, con il probabile riutilizzo di strutture più antiche, visibili soltanto nella base dell’austera torre campanaria in bozze di arenaria, mentre la parte superiore venne edificata in epoca più tarda. I rifacimenti tardo ottocenteschi, che hanno interessato sia l’interno che l’esterno dell’edificio hanno completamente cancellato o nascosto la struttura romanica originaria.

La facciata, a intonaco come il resto della chiesa, presenta una soprelevazione della parte centrale con coronamento a capanna, tre finestre, di cui la centrale datata 1708, e un portichetto su quattro pilastri. Sul lato destro sono stati edificati in epoche diverse (secoli XIV-XVIII) vari corpi di fabbrica oggi adibiti ad abitazioni. L’interno, recentemente restaurato in occasione della ristrutturazione ottocentesca (1890), è a tre navate con copertura voltata a botte, eccetto nella campata che precede la zona presbiteriale, dove è una cupoletta emisferica decorata con affreschi raffiguranti la Colomba dello Spirito Santo e Angeli e nei quattro pennacchi gli Evangelisti, dei quali San Marco reca, nel cartiglio che tiene in mano, un’iscrizione con il nome del parroco che fece restaurare gli affreschi nel 1866 (“Il Reverendissimo Giosuè Rossi ordinò questo restauro 1866”). Sia l’altare maggiore, datato 1680, che gli altari laterali, datati tra il 1706 e 1710, sono elementi preesistenti alla ristrutturazione ottocentesca. Sull’altare maggiore in pietra serena, edificato, come indica l’iscrizione posta sotto la mensa, da “IOHANNES PETRUS ZOIUS PLEBANUS”, è collocato un crocefisso mentre sui due altari laterali delle navate minori,datati 1706, vi sono, a destra, una tela con San Francesco in Preghiera, e a sinistra un affresco molto rovinato raffigurante la Madonna con il Bambino e due Santi, forse databile alla seconda metà del Cinquecento, che per molto tempo è rimasto nascosto dietro una tela settecentesca con Sant’Antonio da Padova.Nel piccolo quadro con San Francesco, databile probabilmente al XVIII secolo, il santo, dal volto emaciato e sofferente, è assorto in preghiera davanti al Crocefisso e ad un teschio che vuole ricordare la morte. Questo soggetto iconografico fu particolarmente rappresentato dagli artisti attivi fra la seconda metà del Cinquecento e la prima metà del Seicento tra i quali, per citare i più noti, i Carracci e il fiorentino Ludovico Cigoli; ed è proprio ad alcuni quadri di quest’ultimo pittore, conservati nella Galleria Nazionale d’Arte Antica a Roma e nella Galleria Palatina a Firenze, che sembra ispirarsi il pittore della piccola tela di Saturnana, anche se non dobbiamo dimenticare che questo tema ebbe larga diffusione attraverso la propria incisoria.

Nella zona presbiteriale sono stati recentemente riscoperti alcuni frammenti di affreschi, probabilmente databili al secolo XV, attualmente poco leggibili per il cattivo stato di conservazione, tanto da non permettere di comprenderne il soggetto iconografico. Soltanto una figura, San Giuliano, è identificata da un’iscrizione che ne indica il nome.

Nella navata di destra, accanto alla porta laterale della chiesa, vi è un grande altare in stucco colorato, datato 1710, decorato da una serie di putti alati che fanno da cornice ad un’immagine ad affresco con la Madonna e il Bambino del primo Cinquecento e attribuibile al pistoiese Gerino Gerino (1480 – post 1529). Probabilmente all’inizio del Settecento l’altare venne addossato ala parete dove già si trovava il dipinto che, come indica il profilo del trono e i piedi mancanti del Bambino, doveva completarsi nella parte sottostante. Seppure l’affresco presenti delle ridipinture che ne alterano le qualità pittoriche, esso mostra comunque evidenti analogie con i dipinti di Gerini e, in particolare, con una grande pala d’altare, oggi conservata al Museo Civico di Pistoia e databile al 1506-’07, in cui, come nell’opera di Saturnana, la Madonna tiene sulle ginocchia il Bambino che, in piedi, si sorregge con una mano alla sua veste, ed entrambi sono inseriti in un trono a nicchia con i braccioli a volute. Sia nel quadro pistoiese che nell’affresco di Saturnana si manifestano i caratteri perugineschi di Gerino Gerini, specialmente nella dolcezza fisionomica delle figure e nelle pose equilibrate. Sotto la mensa dell’altare vi è un’iscrizione che indica, oltre alla data di edificazione anche il nome del committente, Sebastiano Cristoforo Bardini, il cui stemma è posto sul piedistallo delle colonne.

Nella navata di sinistra si trova un altro altare in pietra serena, datato anch’esso 1706, dedicato alla Vergine, come indicano la statua e l’iscrizione del paliotto. L’arredo liturgico comprende anche due confessionali lignei tardo seicenteschi di notevole fattura, intagliati e decorati con volute, motivi vegetali, teste di cherubino e un antico fonte battesimale in arenaria, datato 1425, collocato a sinistra della porta principale della chiesa, composto da un tozzo fusto che sostiene un’ampia tazza esagonale con coperchio ligneo di forma piramidale. Nella nicchia posta sopra di esso è affrescato il Battesimo di Cristo, opera ottocentesca in cattivo stato di conservazione. La chiesa, oggi quasi sempre chiusa, avrebbe bisogno di interventi di restauro sia per la struttura muraria, che per gli arredi e le pitture conservate all’interno, in modo da favorire il recupero e il riutilizzo religioso di quest’antico edificio.

(Tratto da “Pistoia e il suo Territorio” di Perla Cappellini e Laura Dominici. Ed. B&D Divisione Etruria Editrice 1992)